Karma in Occidente
Karma in Occidente. Il Karma nelle culture orientali è l’azione degli esseri senzienti verso un fine, in relazione al principio di causa-effetto che vincola gli esseri al “Samsara”, il ciclo della vita, morte e rinascita. La legge del Karma, nelle Upanisad afferma che la sorte dell’uomo nella vita e dopo la morte è segnato dalle sue azioni che producono le conseguenze future.
Il termine Karma, adeguamento del termine sanscrito “Karman”, viene dalla radice “Kr” che significa “fare”, “agire”, ma questo termine ha un numero ampio di implicazioni filosofiche e religiose che, a seconda dell’ambito, ne modificano il significato. Il Karma non è solo l’azione fine a se stessa, ma l’insieme delle azioni fatte nel pensiero, nel corpo, nella parola e nello Spirito di un essere senziente, in tutte le sue vite.
Inoltre il Karma è anche azione Universale, cioè un equilibrio di energie per cui ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, come cita il terzo principio della dinamica di Newton. L’ idea Unità del tutto è molto antica, infatti, il termine Universo “Unum versum”, significa l’ “Uno manifesto”. Oltre alle culture e alle religioni dell’Oriente, anche in Occidente, molti filosofi e pensatori si sono sono occupati di questo concetto. Uno di questi è stato Gustav Jung, che ha parlato di inconscio collettivo, come interconnessione tra tutte le cose.
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In Occidente esiste più l’idea di “destino”, come il risultato delle proprie azioni o come una forza superiore che determina le cose, chiamata Dio o fato.
Poiché il concetto di Karma è legato all’idea di reincarnazione, solo chi ha toccato le filosofie e le religioni orientali o per dirette esperienze interiori personali, può credere la legge del Karma come esatta in tutta la sua pienezza.
Nella Bibbia si legge di raccogliere ciò che si è seminato.
Nella Grecia antica invece, l’idea di reincarnazione si rifà agli Orifici e ai pitagorici, di cui però non è pervenuto quasi nulla, poiché i propri studi erano per la maggior parte segreti e per pochi adepti. I greci la chiamavano “metempsicosi” o trasmigrazione delle anime.
Platone, nella sua “Anamnesi” diceva che l’anima ricorda il mondo in cui soggiornava prima di incarnarsi e che sceglie il luogo, il tempo e le caratteristiche della nuova vita, che diventa poi, il proprio destino, unione di libero arbitrio e necessità. Secondo Platone, ognuno sceglie, prima di incarnarsi, la vita che vivrà sulla Terra e riceve un “Daimon”, un compagno unico, che ci ricorda il disegno di vita prescelto.
Plotino, filosofo neoplatonico, diceva che ogni anima sceglie il proprio corpo, i genitori, il luogo e la situazione di vita adatti alla propria anima. Le casualità, bisogni della vita e il destino di ognuno, sarebbero “vocazioni”.
La Teosofia, dottrina esoterica che unisce misticismo e scienza, di cui Elena Petrovna Blavatsky fu fondatrice nell’800, ha trattato il tema del Karma. Secondo la Blavatsky, la legge del Karma rimette in equilibrio gli effetti delle azioni umane, per un’armonia universale.
Rudolf Steiner, fondatore dell’ “antroposofia”, in uno dei suoi scritti più importanti “Teosofia“, sostiene che il corpo soggiace alla legge dell’ereditarietà, l’anima al destino che si è creato, e che tale destino si chiama Karma, progetto dell’io prima di incarnarsi. Inoltre, gli eventi della vita successiva,sarebbero per Steiner, opportunità per evolvere.
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Nel ‘900 Carl Gustav Jung, psichiatra, psicoanalista, antropologo, fondatore della “psicologia analitica”, come abbiamo accennato prima, sostenne l’idea di “inconscio collettivo” oltre a quello individuale. Questo, sarebbe formato da archetipi comuni a tutta l’umanità, un Karma collettivo in cui si inserisce la storia dei propri familiari, antenati, della comunità ecc. Jung parlò di inconscio collettivo nel 1912 nel suo libro “trasformazioni e simboli della libido” dove mise in risalto le sue esperienze con dei pazienti schizofrenici, che nei loro deliri, esprimevano miti e conoscenze del passato che questi non potevano conoscere, poiché non scolarizzati. Da qui Jung espresse l’idea di “archetipi dell’ inconscio collettivo”, come immagini primordiali che ognuno ha dentro di sé. In questa idea il Karma personale è assolutamente legato a quello familiare e universale, inoltre qui Jung sviluppa anche il principio di “sincronicita’” .
James Hillman, psicoanalista junghiano, fondatore della “psicologia archetipica“, nel suo “Il codice dell’anima” afferma che la personalità e la vocazione di vita sono qualità innate e che, il nostro compito è quello di realizzarle nella nostra esistenza. Hillman la chiama “Teoria della ghianda”, per la quale ogni vita è formata da un’immagine unica, come il destino di una quercia è contenuto nella sua piccola ghianda.
Oggi, anche la scienza, attraverso le teorie della fisica quantistica, si è avvicinata al concetto di Karma come un ordine sottostante alla materia, una forza non casuale che intreccia e organizza il Tutto.
Carlo Rubbia, premio nobel nella fisica nel 1984 afferma che: “parlare dell’ origine del mondo porta inevitabilmente a pensare alla creazione e, guardando la natura si scopre che esiste un ordine preciso che non può essere il risultato di un caso”. Inoltre, lo scienziato, parlando del rapporto tra la mente degli esseri umani e l’Universo, chiamò le particelle subatomiche “tendenze mentali”, poiché portatrici di informazioni, supportando l’idea che Tutto è in ogni cosa, che ogni parte dell’Universo ha l’informazione del Tutto.
Il biologo e filosofo inglese Rupert Sheldrake ideò il principio dei “campi morfici“. Secondo lo scienziato, la materia risponde ad un disegno sottostante immateriale o mentale, un campo morfico o morfogenetico che guida le molecole, gli atomi, le cellule, ad avere una forma specifica.
Ma già David Bohm negli anni ’50 arrivò a concepire la fisica quantistica come una manifestazione fenomenica di una realtà olistica più profonda.
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