La danza nel Medioevo – Storia della Danza
La danza nel Medioevo è il quarto appuntamento con la storia della danza come liberazione dell’io. Nel Medioevo la danza estatica era parte integrante della vita degli uomini, nel giorno di un decesso o in occasione di festività:
“grosse turbe danzavano semicoscienti o addirittura deliranti… girando e saltando tra le chiese e i cimiteri seguite da parenti ansiosi e dai preti esorcizzanti, sempre seguite dai suonatori”.
Da Trance dance, la danza della vita
Abbiamo visto come l’essere danzante fuori dai confini dell’io, dagli uomini primitivi in poi, continua ad essere un “bisogno” umano, la necessità di trascendenza attraverso la danza. (Leggi gli articoli: La Danza per l’uomo primitivo, La Danza nell’ antica Grecia, La danza nell’antico Cristianesimo)
Nel Medioevo, secondo una antica concezione, coloro che danzano nei cimiteri cercano di stabilire un contatto con i loro morti, da qui il nome di questa danza: “Macabra”, da “Kabr” che in arabo significa tomba e “Makbr”, “cimitero”. La Chiesa per lungo tempo si scagliò contro queste danze e i loro interpreti che invadevano chiese e cimiteri, presi da un’estasi furiosa. Ma tutti i suoi sforzi furono vani. Saltellando freneticamente e dimenandosi in cerchio, i danzatori credevano di evocare gli spiriti dei morti o di essere posseduti da diavoli: “alcuni danzatori si riunivano in gruppo, si mettevano fiori nei capelli, avevano rapporti sessuali e, danzando andavano di paese in paese, altri avevano allucinazioni visive oppure ridevano senza posa in modo isterico: sui volti rapiti e nei gesti era visibile il riso tra le lacrime di un accesso di tristezza”. Da Storia della danza
Affine alla danza macabra, ma caratterizzata da movimenti più violenti è la danza satanica, il Sabba delle streghe o “tregenda”, eseguita da donne dedite a pratiche magiche e, secondo le diffuse credenze medievali, legate ad un patto col diavolo. Nella notte di S. Simone, in novembre, si racconta che: “nelle foreste accorrevano le tristi femmine sui loro neri caproni o sulle scope, a partecipare all’orgia demoniaca e all’adorazione di satana, attraverso la ridda o tregenda”. Da Storia della danza dalle origini ai nostri giorni
Successivamente, la danza satanica acquistò toni ancora più biechi, poiché si volse a beffeggiare i riti cristiani. La Tregenda era una danza estatica vorticosa, dai movimenti erotico-orgiastici, la sua forma, come nelle danze di fertilità, era il circolo ma con il dorso al centro di esso, spezzato talvolta da salti sul fuoco, attorno al quale queste donne danzavano.
Ma le danze estatiche più diffuse nel Medioevo sono il Ballo di S. Vito e il Tarantismo. L’origine del Ballo di S. Vito va ricercata nell’ epidemia che si diffuse in Germania e nei Paesi Bassi nel XIV secolo, la peste o la morte nera, che successivamente si estese al resto d’Europa: “Uno strano furore si è impossessato del popolo, tanto che, molta gente, uscita di senno ha incominciato a danzare, alcuni continuamente giorno e notte senza fermarsi mai, finché non cadono a terra privi di sensi e molti, vi rimangono morti”. Da Storia della danza
Il nome deriva dalla cappella dedicata a S. Vito, nella quale i danzatori si introducevano per guarire.
Il Tarantismo infuriò in Italia nel XV secolo fino al XVIII, si attribuiva questa “malattia” al morso di un ragno della Puglia, la Lycosa tarentula
“coloro i quali sono morsi dalla tarantola, poco dopo cadono al suolo semimorti, con perdita delle forze e dei sensi, il respiro talora affannoso, talora gemente, spesso immobili ed esanimi. Dato inizio alla musica, a poco a poco questi sintomi si attenuano e il malato comincia a muovere le dita, le mani, e quindi i piedi, successivamente le altre membra, e con l’incalzare del ritmo, il movimento delle membra va gradatamente aumentando. Se il paziente giace al suolo, sorge in piedi, da inizio alla danza, sospira e si va contorcendo in modi stranissimi. Queste prime danze si protraggono per più ore, spesso per due o tre: dopo aver riposato un poco sul letto per detergere il sudore e per ristorare le forze, riprende a danzare con la stessa lena, il che avviene una dozzina di volte nella giornata”. Da La terra del rimorso
Diversamente dal ballo di S. Vito, nel Tarantismo il movimento è uno sforzo personale di guarigione.
La morte era una figura centrale nelle danze dei primitivi e nel Medioevo, fu celebrata come messaggera di Dio. Il rapporto tra i vivi e i morti nella danza ha radici profonde, lo si ritrova già negli stadi primitivi della civiltà con il culto degli antenati. Ma è solo nel Medioevo che si forma la concezione della danza dei vivi e dei morti insieme, come annuncio della morte e della liberazione dalla vita terrena. L’immagine che all’ uomo medievale dava il senso di questo abbandono era l’immagine della ronda: “come il girotondo dell’infanzia, questa non procura uno sforzo di riflessione, toglie ai partecipanti ogni volontà propria, ed essi si sentono trascinati da chi li guida”. Da Storia della danza
Dalla fine del XIV secolo, pittori e poeti mostrano la morte in figure di scheletro che si avvicina ai viventi e li ghermisce. La peste generò un profondo sbigottimento nell’ animo della generazione che sopravvisse. Nel Medioevo il bisogno di danzare era connesso all’ analfabetismo e al modo di pensare per simboli, la parola scritta era appannaggio solo di preti e autorità, quindi, la mancanza di comunicazione letteraria spinse l’uomo a rivolgersi al gesto simbolico. Per molto tempo questi gesti restarono senza ordine, messi insieme dalla fantasia del danzatore. Ma a metà del Quattrocento, questo muoversi casuale si definisce nelle regole dei maestri di danza, i quali diedero una svolta decisiva all’evoluzione della danza. Il maestro di danza, non avendo i mezzi culturali e spirituali per guidare i danzatori ad entrare in un altro stato di coscienza, come fa lo stregone, nelle culture sciamaniche, conferisce al balletto di corte delle finalità morali.
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