La Post Modern Dance – Storia della danza
Negli anni Sessanta, i primi coreografi “post-moderni” si prefissero di semplificare e migliorare la danza moderna storica che non aveva saputo mantenere le promesse fatte, riguardo all’uso del corpo e alle funzioni sociali e artistiche della danza.
La Post Modern Dance e il linguaggio del corpo
Si voleva liberare il corpo, condurre ad un cambiamento sociale e spirituale, invece, l’istituzionalizzazione della danza, l’aveva trasformata in una forma d’arte esoterica, lontana dalle masse come il balletto, al quale, inizialmente, si era scagliata. Le figure si erano irrigidite in un vocabolario stereotipato, le compagnie erano spesso strutturate gerarchicamente, i giovani coreografi raramente venivano accettati entro quella che ormai era diventata una corporazione chiusa di iniziati. Rompendo i canoni della danza moderna storica, (leggi l’articolo: La nascita della danza moderna), i coreografi post-moderni trovarono nuove modalità per portare in primo piano il mezzo della danza come linguaggio del corpo, piuttosto che il suo significato.
Le caratteristiche della Post Modern Dance
L’esame del corpo, delle sue funzioni e capacità, è comune a tutte le prime esperienze di danza post-moderna. Una delle forme in cui si concretizzò fu il rilassamento, una perdita di quel controllo che aveva caratterizzato la tecnica della danza occidentale. I coreografi scelsero performer non allenati, nella loro ricerca di un “corpo naturale”. Il problema di definire la danza, per i primi coreografi post-moderni, era connesso alle ricerche sul tempo, lo spazio e il corpo, ma andava oltre, includendo altre arti. Giochi, sport, gare, semplici azioni come camminare e correre, gesti come suonare uno strumento, fare una conferenza e perfino il movimento del cinema, l’azione mentale del linguaggio, furono presentate come danze. Tra il 1968 e il 1973, nella danza d’arte è un periodo di transizione in cui venivano sviluppati i temi della politica, del coinvolgimento del pubblico e dell’influenza extra-occidentale. Come il teatro e la danza diventavano più politici, così i movimenti politici dei tardi anni Sessanta: gruppi pacifisti, antirazzisti, studenteschi, femministi, gay, usavano i mezzi teatrali per affrontare le loro battaglie. Nel 1973 iniziava una nuova fase nella danza post-moderna, era emerso uno stile riconoscibile riduttivo, concreto, oggettivo. Nelle coreografie si ritrovano motivi strutturali come ripetizione e negazione, sistemi matematici, forme geometriche, confronto e contesto. In questo tipo di danza chiamata “analitica”, il movimento diventa oggettivo, perché reso impersonale dall’uso di figure e atteggiamenti corporei che richiamano al lavoro e ad altri movimenti quotidiani. Sebbene questo modello analitico della Post Modern Dance dominasse nei primi anni Sessanta, si sviluppò un’altra tendenza, con una forte componente spirituale. Ritorna l’ammirazione per la danza non- occidentale, un interesse crescente per le funzioni terapeutiche e sociali presenti nelle danze di altre culture. (leggi l’articolo: La nascita della danza terapia)
Movimento non – occidentale e danza Buto
La forma e la filosofia nella danza del movimento “non – occidentale”, presentate agli esordi della Post Modern Dance, con l’influenza di John Cage e del Buddismo Zen, diventano più evidenti nei tardi anni Sessanta, quando i danzatori abbandonano i corsi regolari di danza per allenarsi a metodi come il Tai Ji Quan (leggi l’articolo: Tai ji quan i benefici, intervista al maestro ) e l’Aikido. Ma, cambiamenti fondamentali nella danza d’arte, avvennero anche nello stesso Oriente che ispirava coreografi occidentali, per esempio, sull’onda di un movimento di contestazione politico-culturale in Giappone, Tatsumi Hijikata (m. 1986) e Kazuo Ono (n. 1905), fondarono negli anni Sessanta, la danza Buto. Tatsumi Hijikata ha concepito il Buto non soltanto in opposizione alla danza occidentale, ma anche come reazione alle danze tradizionali giapponesi, in quanto entrambe, parte di una cultura urbana e aristocratica. Per Hijikata il corpo è imprigionato dalla forza culturale fin dall’infanzia, l’obiettivo della danza è quello di risuscitare le possibilità di questo corpo asfissiato dalla cultura.
La danza come veicolo di espressione spirituale
Le esperienze di vita comunitaria portarono forme di danza che spesso esprimevano e creavano legami sociali. La danza diviene veicolo di espressione spirituale. Gli assoli di Deborah Hay (n.1941), che utilizzava immagini cosmiche, reminiscenze delle antiche danze templari indiane; le Wonder dance di Barbara Dilley che faceva uso di esplorazioni intorno al movimento meditativo e di esplosioni di manifestazioni estatiche, nelle quali la coreografa rivelava l’interesse per il buddismo tibetano. I lavori di Meredith Monk, Laura Dean e Andy DeGroat , che usavano la danza come veicolo di espressione del bisogno spirituale di comunità. Le danze rotatorie simili alle danze Sufi, di Anna Halprin ; Kenneth King che utilizzava la danza come metafora della tecnologia, dei sistemi di informazione e di potere. La Post Modern dance “metaforica” è ricca di quegli elementi teatrali che erano invece stati eliminati da quella “analitica”, cioè costumi, luci, musica, oggetti di scena, personaggi, stati d’animo; inoltre propone nuove relazioni tra performer e spettatori; articola nuove esperienze di spazio, tempo, corpo, incorpora il linguaggio verbale e utilizza strutture statiche ripetitive.
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